“Trentasei conflitti attualmente in corso in tutto il mondo più una decina che potrebbero scoppiare da un momento all’altro: 60 milioni di persone in movimento”. Dati alla mano Raffaele Crocco, giornalista Rai e curatore dell’Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo, va subito al dunque “le guerre non sono la causa di qualcosa, ma l’effetto. Bisogna rovesciare la prospettiva, bisogna chiedersi perché ci sono le guerre”. Un filo rosso unisce innegabilmente guerre e fenomeni migratori, e per questo la seconda giornata dell’OltreEconomia Festival 2016, che da tre anni racconta l’altra faccia dell’economia (quella senza cravatte) negli stessi giorni in cui a Trento si svolge il Festival dell’Economia, è stata interamente dedicata al legame tra conflitti e migrazioni.
Dal titolo “Le nostre guerre, le loro fughe” la giornata del 2 giugno è iniziata con una tavola rotonda a cui hanno preso parte attivisti No Borders, associazioni provenienti da diverse parti d’Italia come Borderline Sicilia, Laboratorio Autogestito Paratodos di Verona, il network Welcome to Europe, uno degli autori della ricerca Forensic Oceanography sugli effetti devastanti delle politiche europee in materia di migrazione, un membro attivo della ONG L’Auberge des migrants che opera nel campo migranti di Calais, in Francia, attivisti che monitorano il Brennero, altri che sono stati a Ventimiglia. Un’assemblea che ha messo insieme le esperienze di chi agisce ogni giorno negli hotspot, ai confini, nei centri di accoglienza, in Italia e non solo, di chi ha studiato il fenomeno, al fine di condividere e migliorare gli strumenti di intervento non istituzionali, di agevolare lo scambio di informazioni creando un network di addetti ai lavori, attivisti e volontari da Nord a Sud affinché le azioni di supporto ai migranti che giungono in Italia siano congiunte ed efficaci.
Azioni concrete dunque come la guida pratica per rifugiati e migranti, scaricabile anche online, creata dal network Welcome to Europe, attualmente tradotta in inglese, italiano e francese, ma presto disponibile anche in arabo. Nella guida sono contenute informazioni generali ad esempio sulla richiesta di protezione internazionale, sui diritti fondamentali in Italia e in Europa, mappe e cartine geografiche, gli orari e i prezzi delle tratte ferroviarie tra le principali città italiane, ma soprattutto una lunga lista in continuo aggiornamento di contatti locali di attivisti, centri e movimenti sociali, associazioni del territorio, gruppi di volontariato. Avere informazioni di questo tipo – spiega Davide, attivista del network – risulta fondamentale per persone che arrivano nel nostro Paese e non sono a conoscenza dei diritti di cui godono in territorio italiano.
Non solo ragionare sui metodi di intervento ma soprattutto capire le cause che portano popolazioni intere a lasciare i propri territori è stato il filo conduttore dell’intero programma dell’Oef 2016. Partendo dalla testimonianza del documentarista ed esperto di Medioriente, Terence Ward, che ha parlato del ruolo del wahhabismo, la corrente più ortodossa dell’Islam sunnita che rischia di essere assimilato all’Islam tutto, dell’Arabia Saudita doppiogiochista finanziatrice dell’Isis e della dipendenza dei Paesi occidentali dal petrolio saudita.
Di “perdita di habitat” ha parlato invece Caterina Amicucci, volontaria nell’hotspot di Lesbo, citando la sociologa contemporanea Saskia Sassen. La perdita di habitat, spiega Amicucci, consiste nella deprivazione delle risorse fondamentali quali la terra, l’acqua, il cibo (l’habitat appunto) da parte delle grandi multinazionali soprattutto nelle zone rurali e semi-rurali del mondo, a danno di intere popolazioni che sono costrette ad abbandonare i luoghi d’origine.
Un’altra causa, connessa a quest’ultima, come emerso durante un altro intervento è da rintracciare nella circolazione delle risorse, “chi controlla la circolazione delle risorse controlla il mondo. Perché ad esempio la Cina ha invaso il Tibet? Perché in Tibet ci sono i bacini idrici di tutta l’Asia”.
Sull’aspetto bellico e sul ruolo dell’Italia come base militare del Mediterraneo si è soffermato Antonio Mazzeo, giornalista impegnato nei temi della militarizzazione nonché anima del movimento NO MUOS in Sicilia. L’evoluzione tecnologica degli strumenti di guerra e la conseguente automatizzazione e “dronizzazione” delle modalità con cui oggi si combattono le guerre, comandate a distanza, porteranno – sostiene Mazzeo – a una progressiva deresponsabilizzazione sul piano etico dei crimini militari commessi contro la popolazione civile.
Fine a sé stessa sarebbe una riflessione sulle cause delle migrazioni se non venissero formulate anche delle soluzioni. E su questo fronte si sono espressi diversi interventi, soprattutto al femminile, su un cambio necessario di prospettive economiche. Un esempio concreto è stato offerto dalla psicologa Gabriella Ghidoni durante l’incontro del 3 giugno “La misura femminile dell’economia”, sulle battaglie delle donne afghane per la difesa dei beni comuni nei loro territori ma anche sull’impatto positivo dell’imprenditorialità femminile di queste donne nel tessuto sociale ed economico.
Soluzioni che passano anche per la difesa ambientale del territorio e la creazione di circuiti economici solidali e alternativi al modello capitalista. Anche per questo il Festival ha dato spazio a nutrizionisti, attivisti per i diritti sociali ed ambientali, produttori biologici trentini e fornitori dei Gruppi d’Acquisto Solidali (GAS).
Nelle stesse giornate, anche il Festival dell’Economia ha toccato temi legati alle migrazioni. Il 3 giugno, ad esempio, il cinema Modena ha ospitato l’intervento di due inviati di RaiNews 24, proiettando un video racconto di testimonianze di migranti bloccati negli hotspot o durante i loro viaggi della speranza lungo la rotta balcanica. Immagini di disperazione, di bambini in lacrime, di volontari che offrono il volto più umano dell’Europa. Un afghano in sala, conclusa la proiezione, ha chiesto ai due giornalisti di spendere due parole sulle cause di questo esodo contemporaneo, invece di raccontarne gli effetti. La risposta non è arrivata.
Il discorso mediatico, soprattutto quello televisivo, su questo fenomeno per nulla nuovo ci ha abituato a racconti commoventi ed empatici, alle telecamere che dirigono lo zoom sulle lacrime per smuovere quella sensibilità/pietà di cui difficilmente un essere umano è privo. Ma ciò non è servito a scoraggiare il sorgere di sentimenti xenofobi e la giustificazione delle politiche securitarie dei governi da parte dell’opinione pubblica di mezza Europa. Fornire chiavi di lettura economiche, storiche e politiche, invece che narrazioni patetiche, è l’unica via percorribile, a parere di chi scrive, per non barricarsi dietro anacronistici confini nazionali.
Denise Battaglia