Dal 2020 niente più stoviglie di plastica. È la Francia la prima a dare una svolta radicale ai consumi di bicchieri e posate usa e getta grazie ad un decreto legge entrato in vigore il 30 agosto scorso. Fra 4 anni scatterà il divieto di produzione, vendita e cessione gratuita di piatti e accessori di polietilene, che dovranno essere sostituiti con prodotti realizzati con materie organiche biodegradabili. Il provvedimento si inserisce nelle misure approvate nel luglio scorso all’interno del quadro “Transizione energetica per la crescita verde” scaturito dalla Cop21, la conferenza sul clima di Parigi del dicembre 2015.
Non solo stoviglie. Con la direttiva europea 2015/72 tutti gli stati membri dovranno da qui a due mesi attrezzarsi per ridurre l’utilizzo di borse di plastica in materiale leggero, strutturando in contemporanea una campagna di informazione rivolta ai consumatori per aumentarne la consapevolezza rispetto all’impatto ambientale di questo materiale. Un impatto enorme se pensiamo che un sacchetto o una bottiglia di plastica impiegano dai 100 ai 1000 anni per degradarsi e alla facilità con cui questo sostanza riesce a disperdersi nell’ambiente. Sotto accusa in particolare le microplastiche, tecnicamente particelle di plastica inferiore ai 5mm prodotte dall’industria o derivanti dalla degradazione degli oggetti in mare, che vengono scambiate per cibo dalla fauna marina e quindi ingerite. Proprio dal recente studio Plastics in seafood condotto da Greenpeace e pubblicato lo scorso agosto, è emerso che su 121 esemplari di pesce nel Mediterraneo centrale – tra cui specie commerciali come pesce spada, tonno rosso e tonno alalunga – il 18,2 per cento presentava al suo interno frammenti di plastica.
Le lotta ai sacchetti in Europa. Dal 2015 il parlamento francese ha iniziato a prendere i primi provvedimenti per ridurre l’utilizzo della plastica, vietando da gennaio 2016 la commercializzazione di buste monouso per l’asporto delle merci, in altre parole quelli che vengono consegnati alla cassa. E sempre da gennaio ma del 2017, saranno invece bandite anche ai sacchetti destinati a frutta e ortaggi, quelli che vengono riempiti dal consumatore nel reparto verdura.
Tra gli stati più virtuosi troviamo l’Irlanda che dal 2002, grazie alla cosiddetta “PlasTax” – una tassa di 15 cent su ogni sacchetto – ha abbattuto i consumi delle shopper usa e getta. Sulla stessa linea anche singole cittadine della Scozia e dell’Inghilterra che nel 2008 si sono dichiarate “plastic-bag free town”. Un altro esempio virtuoso è rappresentato dalla città di Amburgo che dall’inizio dell’anno ha lanciato una rivoluzione ambientale che va dai trasporti ai sacchetti di plastica. Ricordiamo anche che il Marocco, dal luglio 2016, ha bandito il commercio e la produzione dei sacchetti.
Qual è la situazione italiana. Risale al 2012 il decreto che nel nostro Paese vieta la commercializzazione di sacchetti monouso di plastica per la spesa, anche se ci sono voluti due anni per affiancarle un sistema sanzionatorio che punisse chi non rispettava la normativa. Nonostante ciò, le ultime ricerche volte a monitorare la situazione del rispetto di tale legge non riportano dati ottimistici: si stima infatti che su 100 buste, 54 non siano ancora a norma (Vedi studio di Legambiente).
Milena Rettondini